mercoledì 30 aprile 2014

"Noi porcospini senza etichette". Consigli per chi vive accanto ad un malato oncologico.

<<Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d'inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l'uno dall'altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell'altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.>> (Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, II, 2, cap. 30, 396)

Sicuramente vi starete chiedendo noi chi? chi è come i porcospini? perché?

Questo post vuole essere d’aiuto a chi sta accanto ad un familiare o ad un amico che ha un tumore (magari va bene anche per altre patologie, ma io posso parlare della mia).

Diciamolo, noi siamo soggetti molto speciali, particolari, permalosi, “incazzusi”, lunatici, imprevedibili, con un bisogno di ricevere e dare amore immisurabile…
Starci vicino non è semplice, lo ammetto, e ringrazio chi mi sopporta quotidianamente, che sopporta i miei cambi d’umore, la mia lunaticità, la mia imprevedibilità, le mie paure e le miei gioie…

Ora vi svelo un segreto, il segreto del porcospino e della giusta distanza…

Noi non vogliamo sentirci oppressi, malati, essere trattati diversamente, avere persone che ci “soffocano” di amore, attenzioni ed altro, non vogliamo essere messi sotto una campana di vetro… ma al tempo stesso neanche vogliamo essere trattati come se niente fosse, come se non avessimo mai avuto nulla….
Non vogliamo sentirvi così vicini da non poter più distinguere chi siamo, se i pensieri e i desideri sono i nostri o i vostri… ma neanche vogliamo sentirvi lontani, così lontani da neanche percepirvi nella nostra “folle vita”.

Giustamente vi starete chiedendo… "e allora come dobbiamo comportarci? come volete essere trattati”?
La risposta è la giusta distanza, proprio come quella trovata dai porcospini...

Ovviamente è una condizione non facile da trovare, non è una misura universale perché ognuno di noi ha la "sua" giusta distanza nei confronti degli altri.
Noi abbiamo bisogno di voi familiari ed amici, anche se spesso lo neghiamo a noi stessi ed anche a voi, abbiamo bisogno della nostra rete sicura che ci protegge, sostiene e che gioisce con noi delle piccole cose.
Certe volte vi trattiamo male, ma è il nostro modo di “mettervi alla prova”, ovvero, cerchiamo di capire se siete in grado di attutire i nostri colpi (anche quelli di testa)! Quelli che voi magari percepite come “calci”, come brutte risposte, magari per noi è un gesto di affetto, è un dirvi “grazie di esserci, di comprendermi, di assorbire la mia parte negativa, di essere il mio pungiball”…

Se vi sentite trattati male da noi dovete esserne felici (lo so che sembra una follia senza senso, ma fidatevi di me, quasi sempre è così), vuol dire che ci fidiamo di voi, che mettiamo a nudo con voi le nostre paure e ve le comunichiamo nel modo che conosciamo… espellendole fuori da noi immediatamente, irrazionalmente e magari senza renderci conto della modalità “aggressiva” che utilizziamo.

Altra forma comunicativa, e differenza nella giusta distanza, avviene nei rapporti tra noi “Colleghe di Patologia”…
Tra di noi il linguaggio è diverso, ci possiamo permettere di avvicinarci di più (anche se dobbiamo stare molto attente all'empatia e all'invischiamento che si può instaurare e che ci può far del male). Ho spesso notato come la stessa frase detta da un familiare, che magari ti fa andare "su tutte le furie", se detta da un’amica di patologia ha tutto un altro effetto, risuona diversamente dentro di noi. La differenza fondamentale sta nel fatto che noi "colleghe" utilizziamo lo stesso linguaggio specifico, che non è quello medico, ma quello dell’anima, del dolore, delle paure, delle ansie, delle speranze, del TUMORE.

Per questo ho coniato il termine “Colleghe di Patologia”, perché come avviene tra colleghi di lavoro o di università, dove si parla lo stesso linguaggio che magari al di fuori di quel contesto non può essere compreso, allo stesso modo avviene la comunicazione tra di noi…
Quando ho deciso di scrivere questo post sui rapporti tra noi malati oncologici e la nostra rete affettiva di supporto ho chiesto a Sabrina, mia cara amica e "Collega di Patologia", di scrivere anche lei qualcosa, volevo sentire una seconda campana, volevo capire se le mie idee, la mia modalità di approccio, i miei comportamenti erano dettati dalla mia “follia” o erano all'interno di una modalità relazionale comune che viene messa in atto da noi pazienti oncologici…

La mia cara Sabrina scrive...

<<Felicità, Angoscia, Serenità, Rabbia, Proposività, Entusiasmo, Depressione, Ansia…

  Quanti stati d’animo si vivono con la malattia!!! A volte si è felici perché tutto prosegue come si desidera e tante altre volte prendono il sopravvento lo sconforto e la tristezza, perché il tumore è questo!!!!

E’ difficile per il malato convivere con la malattia, figuriamoci per le persone che gli stanno accanto.
Le riflessioni sono tante e non esistono condizioni uguali per tutti. Ogni tumore è imprevedibile e così anche il modo in cui ogni malato decide di affrontarlo. Ed è stupefacente il modo in cui ognuno di noi scopre di essere una persona nuova e diversa da prima, ma forse la verità è che il tumore permette di scoprire lati del proprio carattere e della propria personalità che la vita normale spesso non è in grado di far affiorare.
Il quotidiano si trasforma. Ogni singolo pensiero o azione prende sfumature nuove. E le piccole cose quotidiane e banali per molti iniziano a risplendere in modo più brillante. La natura diviene commovente come vedere dei bimbi giocare o fissare un paesaggio marino o di campagna e ci si aggrappa a questa vita in modo viscerale.

Gli amici, i familiari, i conoscenti non possono capire tutto ciò che avviene nella mente di un malato. Possono intuirlo ma comprenderlo a fondo è davvero difficile.
E’ comprensibile stare vicino al malato lungo il cammino che lo attende ma è impossibile pensare che possa farlo nel migliore dei modi perché non sarà mai il modo migliore per il caro che assistono. Al di là di tutti gli sforzi e l’amore che metteranno in atto tenderanno sempre e comunque ad attuare delle tecniche di difesa che li porteranno ad agire esattamente come la persona amata non desidera.

Gli equilibri all’interno di ogni famiglia vengono totalmente messi in moto ed è importante studiare un piano d’azione che possa far interagire “il nuovo arrivato” con le dinamiche familiari che devono giustamente andare avanti. E forse è anche questo un elemento che fa soffrire il paziente oncologico, vedere che la vita per il mondo che lo circonda va avanti quando invece a lui gli è stato imposto di fermarsi anche solo per un momento!! 

E’ necessario che i membri della famiglia e gli amici si rendano conto di dover alle volte fare un passo indietro rispetto ai loro naturali impulsi senza dover essere al contempo troppo accondiscendenti. Empatici ma non compassionevoli. Il malato oncologico è una persona che fino alla fine dei suoi giorni nutre uno sfrenato desiderio di speranza. È la speranza di vivere ogni giorno come gli altri, di vivere ogni giorno la propria vita. Non può e non vuole considerarsi malato. Non può e non vuole essere etichettato perché questa etichetta il più delle volte è una etichetta di condanna a morte.

La speranza invece da la possibilità di guardare in faccia la malattia in modo nuovo ed aiuta a gestire le difficoltà con grinta perché dietro lo scoglio ci può ancora essere un meraviglioso porto.
Atteggiamenti di compassione sono visti dal malato come una condanna senza possibilità di salvezza. Sguardi, attenzioni troppo opprimenti, perdita di autonomia segnano molto più degli effetti devastanti di una chemioterapia. Seppur con l’intenzione di aiutare spesso ci si avvicina al paziente oncologico in modo da peggiorare il suo stato d’animo. E lo stesso vale per atteggiamenti di indifferenza al problema. Far finta che il problema non esista fa impazzire il malato che si trova a dover fare i conti con la propria cartella clinica, radiografia di uno stato di salute piuttosto delicato, ed un atteggiamento che tende invece a sminuire la realtà dei fatti.

Lo stesso vale per frasi come “ma tanto sei forte”, “tutto si supera”, “la nuttata a già venir”, “ci saranno tempi migliori”. Il malato sa di essere forte, lo scopre di volta in volta quando si trova a dover superare prove che non avrebbe mai creduto o pensato di superare, quando dopo ogni chemio ha la capacità di alzarsi sorridendo, tornando ad occuparsi del suo lavoro e del suo quotidiano, quando riesce in breve tempo a riprendersi da un intervento chirurgico incoraggiando le persone a lui vicine, quando si ritrova a dover affrontare le ansie date da un nuovo esame. Sentirsi dire “ma tanto sei forte” non lo aiuta, ma molto probabilmente aiuta colui che lo dice come tecnica di auto-convincimento. E tocca alla persona affetta dal tumore a questo punto anche incoraggiare il proprio caro nascondendo ansie, turbamenti, isterismi di vario genere per partecipare al gioco del “tutto fila liscio, tutto è tranquillo” come gli altri desiderano che sia.

In realtà il malato oncologico è una persona esattamente come tante altre, che vive la sua vita come tante altre. Ovviamente il suo quotidiano è intervallato da dinamiche che per fortuna non appartengono a tutti ma, al di la di questo, continua a vivere e cerca di farlo nel migliore dei modi. Questo mostro è entrato nella sua vita  e ha dovuto prendere confidenza con lui divenendone quasi amico. Parlarne, riderci sopra, trattarlo come uno di famiglia, arrabbiarsi con lui e piangere a causa sua, perché no anche insieme ad altri, è la realtà che il paziente oncologico vorrebbe che vivessero anche le persone a lui vicine.

Infine il poter esprimere liberamente i propri stati d’animo senza sentirsi giudicati per quello che si pensa o per il modo in cui si decide di affrontare il problema può essere un valido strumento per il raggiungimento della serenità di cui necessita il malato.
Essere malati senza etichette, ma allo stesso tempo senza nascondersi da questa croce che gli è stata assegnata, perché far finta che il problema non esista non aiuta né il malato né i suoi cari.

Accettare quindi questo stato come chiave di lettura per relazioni più profonde, come occasione per tornare indietro e percorrere una strada migliore, come testimonianza tangibile del proprio passaggio su questa terra, come opportunità per fare della propria vita, come diceva San Giovanni Paolo II, un vero e proprio Capolavoro!>>                         
Sabrina 
Io&Sabrina

Spero che questo post possa realmente aiutarvi a comprendere meglio i nostri folli comportamenti, il nostro linguaggio, la nostra "diversità nella normalità"...  
La mia Nonnina quando vedeva alcuni di questi miei comportamenti, che ovviamente non poteva comprendere, mi diceva “ma com’è,  fuodde è… mah”…


I love life <3

giovedì 17 aprile 2014

La ragazza con la chemio nella borsetta alle "Iene"…

Attenzione... alla fine del post c'è un link per un'intervista inedita :)

Un giorno, ho ricevuto una strana telefonata… un tizio, un tale Cristiano Pasca (che conoscevo soltanto di vista), mi ha chiamata dicendomi che era rimasto colpito dal mio Blog, dal mio modo di comunicare le emozioni, dal modo in cui riuscivo a rendere “divertente” qualcosa che ha un peso fisico ed emotivo enorme come ad esempio le sedute di chemioterapia, farsi rasare i capelli perché cadevano a ciocche, scegliere parrucche …
Da subito la telefonata si è trasformata in una semplice e divertente chiacchierata tra due conoscenti… quando mi ha comunicato che aveva ricevuto da parte della redazione delle “Iene” l’ok per girare un servizio su di me non ci credevo, ma da subito sono stata contenta… ho provato una strana sensazione, un mix tra euforia, paura ed adrenalina percorreva il mio corpo…
Ma forse non avevo ben chiaro tutto quello che sarebbe successo…. :)
E fu così che Cristiano Pasca e Giovanni Mangalaviti mi hanno seguito per tre giorni… andiamo per ordine…

Tutto ha inizio una domenica mattina …
Cristiano e Giovanni sono venuti a casa di mia sorella e di mio cognato ed abbiamo pranzato insieme a mio padre, sua moglie, Simona, Alice e Maria Pia… un bel pranzetto biologico… hanno provato per la prima volta il mio taboulet di quinoa, che hanno gradito molto, così come tutte le altre pietanze biologiche preparate dal mio papino… (non vi dico quanto hanno mangiato… a proposito… ma a Milano vi lasciano digiuni? :D )
Dopo pranzo siamo andati a casa mia… hanno intervistato la mia mamma, suo marito e mia nonna, hanno conosciuto i miei gattoni Celestino ed Elisea, ed il mio gattone (Pet Terapy) Artù… anche in questa occasione hanno gradito del caffè e dolcini…
Di sera potevamo mai rimanere a casa? Ovviamente no!
Si va tutti in un locale insieme ad alcune amiche…. Un paio di riprese, brindisi, interviste ad Elisabetta e Maria Pia, un po’ di musica e molto divertimento…
Arriva il lunedì ed arriva l’ora della mia intervista singola… anche se ero molto agitata ed emozionata mi sono divertita ugualmente :D 

Poi con un salto temporale, arriviamo al grande giorno… il giorno della Chemioterapia…
Fare chemioterapia non è certo una passeggiata, ed anche se in ospedale sono sempre sorridente, se mentre faccio chemio scherzo con gli infermieri ed i pazienti, posto qualcosa sui vari social, parlo al telefono, sento musica (perché è quello che faccio normalmente), la sofferenza ed il dolore sono sempre presenti… ma io non gli permetto di prendere il  sopravvento…
In ospedale tutti sono stati super disponibili, sono venuti incontro alle mie esigenze, al mio voler fare questo servizio per le Iene, sono stati tutti eccezionali, medici, infermieri, addetti stampa… 
Il processo chemioterapico ed il mio rapporto con gli infermieri è stato lo stesso di sempre, non è stato alterato per fini televisivi, le uniche cose che sono cambiate durante le riprese del servizio sono state la stanza, per non disturbare gli altri pazienti mi hanno messo in una stanza singola, e il fatto di essere in compagnia di amici invece che in compagnia dei “colleghi di patologia”.
Alla fine della giornata di Chemioterapia cosa potevamo fare se non andare a mangiare?
Come ogni volta sono andata a pranzo con mia sorella e mio padre, e visto che il giorno dopo Cristiano e Giovanni sarebbero tornati a Milano (come vi ho scritto ho il dubbio che non si nutrano a sufficienza), siamo andati tutti insieme a mangiare un po’ di buon pesce ed una buona cassata siciliana alla “Trattoria Piccolo Napoli” 


Di seguito il link del servizio andato in onda ieri alle iene…
http://www.video.mediaset.it/video/iene/puntata/453662/pasca-la-ragazza-con-la-chemio-in-borsetta.html

E adesso, solo per voi “la iena” divento io…. Di seguito una piccola intervista fatta da me a Cristiano, Giovanni e non solo...
https://www.youtube.com/watch?v=CRq7ZwveCYA&feature=youtu.be
Grazie per questa splendida esperienza… mi sono divertita tantissimo…
Grazie a Cristiano Pasca e Giovanni Mangalaviti, persone splendide che hanno svolto il loro lavoro con professionalità, umanità ed amore;
Grazie alla Redazione delle Iene che hanno permesso la realizzazione e la messa in onda di questo servizio;
Grazie all'ospedale Buccheri la Ferla e a tutto il personale medico e paramedico che mi ha aiutato in questa impresa e che mi sostiene e mi cura giornalmente sia fisicamente che psicologicamente;
Grazie alla mia famiglia, ai miei amici, alle mie “colleghe di patologie”…
PS: Ma quanto avete mangiato? e come direbbe la mia nonnina... "a biestere vi rassi"!
I love life <3



mercoledì 9 aprile 2014

Chemioterapia in compagnia…… In diretta dall’ospedale 2


Oggi, così come 15 giorni fa mi ritrovo in ospedale…
Ma oggi tutto è diverso, sono diverse le persone che ho accanto, è diversa la stanza dell’infusione della terapia, ed è diverso il mio umore…
Oggi sono emozionata, sto per fare qualcosa che magari molti non capiranno e criticheranno, ma io so che per molti sarà utile, e già questo mi da il coraggio di andare avanti…..
Ho messo a nudo la mia esperienza, la mia vita, la mia malattia, ed oggi, con la nuova diretta dall’ospedale spero di aiutare le persone che stanno vivendo il mio stesso percorso, di aiutare le persone che stanno accanto ai malati (e non solo oncologici) e magari aiutare le persone che per paura si sono allontanate da chi ha un tumore….
Oggi non vedo gli occhi dei miei “colleghi di patologia”, non vedo sguardi spaventati, speranzosi o rassegnati…
Oggi mi vedo riflessa nello sguardo di mia sorella, degli amici che mi sono venuti a trovare e negli occhi di due splendidi ragazzi che in questi ultimi giorni mi hanno seguita per far conoscere la mia storia…
Sembra strano, abbiamo passato pochi giorni insieme, ma abbiamo condiviso molto, sono entrati all’interno del mio mondo, della mia famiglia, dei miei amici…
Hanno potuto vedere e sentire ciò che gli amici pensano di me (cose che ancora io non so… speriamo bene), ed adesso sono qui…
Sono accanto a me per farvi conoscere, senza più segreti, cosa vuol dire TUMORE, cosa vuol direCHEMIOTERAPIA!!!
Sono accanto a me perché stanno lavorando… ma riesco a vedermi con i loro occhi… non è solo lavoro, non è solo un servizio televisivo… è molto di più…
Riesco a sentire la loro empatia, la loro sensibilità, discrezione,  e cosa importante non sento la loro pena nei miei confronti… forse dopo questi giorni anche loro riescono a vedermi come mi vedo io, ad avere meno paura della malattia…
Comunque vada questo servizio televisivo, qualunque cosa voi pensiate delle mie scelte, della mia vita, di mettere in mostra  la mia famiglia, il mio modo di amare la vita, il mio Tumore, voglio dirvi che io sono felice di essere quella che sono, degli amici, dei familiari e delle persone che non conosco che con le loro email, messaggi, commenti mi stanno accanto giorno dopo giorno.
Io credo che non  siamo nati per essere equilibristi...
Dobbiamo scegliere...
Scegliere se fare un passo avanti o uno indietro,
scegliere se dire quella parola o conservarla per sempre,
scegliere se amare o odiare,
scegliere se uscire dalla tana o continuare il letargo,
scegliere la staticità, il freddo, l'aridità dei sentimenti
oppure
scegliere di rischiare, ballare, cantare, vivere le emozioni...
L'equilibrismo io lo lasciò agli altri, a chi non osa mettersi in gioco, a chi ha paura di prendere delle decisioni, a chi si fa trasportare dal vento lasciando che la vita e gli altri scelgano per lui...
Io invece ho deciso di scegliere...
Scelgo di lanciarmi dalla fune,
scelgo di cadere,
scelgo di rischiare,
Scelgo la vita...
E spero che anche la vita scelga me.
Un grazie speciale al Primario del reparto di Oncologia il Dott. Borsellino.
Grazie anche alla Dott.ssa Vitale, a Cettina Sorrenti, alle mie "colleghe di patologia" e a tutti i miei angeli del Buccheri la Ferla che hanno permesso che tutto ciò si realizzasse, (ovviamente anche a chi ha dato l’autorizzazione);
Grazie alla mia famiglia e ad i miei amici che si sono messi in gioco per me e che hanno appoggiato ogni mia richiesta;
Grazie a due splendide persone… Cristiano Pasca e Giovanni Mangalviti


I love life <3

sabato 5 aprile 2014

Lepre o tartaruga?

Ogni pomeriggio io e mia sorella prima di addormentarci per il sonnellino pomeridiano “costringevamo” nonno Enzo a raccontarci una storia, una favola o a giocare ad “ok il prezzo è giusto” con gli oggetti della casa…

Un giorno c’era la storiella di “Giraffa, Giraffina e Giraffetta”, un giorno la storiella del "Coniglietto sgangulato" (inventate da lui),  un giorno ci raccontava qualche episodio inerente la nostra infanzia... tendeva sempre ad insegnarci qualcosa attraverso la narrazione ed il gioco... 
Alcune volte non inventata le storielle ma ci narrava qualche favola o fiaba, come ad esempio una delle tante favole di Esopo…

La lepre e la tartaruga
<<La lepre un giorno si vantava con gli altri animali: "Nessuno può battermi in velocità", diceva, "sfido chiunque a correre come me".
La tartaruga, con la sua solita calma, disse: "Accetto la sfida".
"Questa è buona!" esclamò la lepre; e scoppiò a ridere.
"Non vantarti prima di aver vinto", replicò la tartaruga, "vuoi fare questa gara?".
Così fu stabilito un percorso e dato il via. La lepre partì come un fulmine: quasi non si vedeva più, tanto era già lontana. Poi si fermò, e per mostrare il suo disprezzo verso la tartaruga si sdraiò a fare un sonnellino. La tartaruga intanto camminava con fatica, un passo dopo l'altro, e quando la lepre si svegliò, la vide vicina al traguardo. Allora si mise a correre con tutte le sue forze, ma ormai era troppo tardi per vincere la gara.
La tartaruga sorridendo disse: “Chi va piano va sano e va lontano”.>>

Vi starete chiedendo come mai vi ho raccontato questa favola…
La risposta?
Per ricordarvi di non avere fretta nella vita… non cercate di bruciare le tappe, non cercate la guarigione immediata, la riabilitazione lampo… per ogni cosa ci vuole il giusto tempo…

Per me la vita é come un orto...
Te ne devi prendere cura giorno dopo giorno, innaffiarlo di acqua e amore, costruire una recinzione e una protezione affinché le avversità e le intemperie giornaliere non lo rovinino e soprattutto rispettare le stagioni, la terra, aspettare i tempi giusti. Non bisogna avere fretta, altrimenti rischiamo di rovinare tutti i sacrifici fatti e non riuscire più ad assaporare i gusti e i profumi…

Questa riflessione è nata dalla discussione con delle “colleghe di patologie”…
Una mia cara amica vorrebbe (e capisco perfettamente i motivi) tornare ad essere una Lepre… essere autonoma, lavorare come prima, avere una riabilitazione lampo… ma purtroppo non è possibile….
Non possiamo avere fretta, dobbiamo imparare accettare i tempi che il nostro corpo ci richiede…Dobbiamo imparare ad essere un po’ Tartarughe

Anche per me non è facile accettare determinati ritmi di vita, specialmente per alcune cose, ma il tumore cambia anche questo…
Cambia i tempi di azione/reazione, cambia i tempi di ripresa, in alcuni casi di movimento…
Per fortuna non tutto è per sempre… alcune funzionalità, movimenti, riattivazioni di alcune parti del corpo e del cervello riprendono a funzionare benissimo, come prima, ma l’importante è non avere fretta ed imparare ad ascoltare di più il nostro corpo…
Solo il nostro corpo può dettare i tempi di ripresa, i tempi di vita.
Proprio come fa un direttore d’orchestra che coordina e guida i musicisti durante l'esecuzione, indicando dinamiche, tempo, voci e strumenti..

E quindi non cerchiamo disperatamente una bacchetta magica per modificare velocemente le situazioni, la vita…
ma cerchiamo ed impariamo a comprendere le indicazioni della bacchetta del direttore d'orchestra  e iniziamo a suonare la dolce sinfonia della nostra vita….


Oggi è san Vincenzo... auguri Nonnino...

I love life <3